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“Con la riforma 4+2 gli ITS hanno sempre più importanza e accreditamento”

Il presidente di Rete ITS Italia discute i temi più caldi legati alla sperimentazione del modello 4+2, dalla risposta delle scuole alle potenzialità dell’offerta formativa integrata.


Migliaia di studenti, e quindi di famiglie, sono alle prese con le iscrizioni per l’anno scolastico 2024-2025della scuola secondaria di secondo grado: un processo che avviene online sulla piattaforma Unica, fino al 10 febbraio. Per il prossimo anno, sarà anche possibile iscriversi ai percorsi sperimentali quadriennali della filiera tecnologico-professionale. Il tema del quadriennio non è nuovo in sé: esistono già, infatti, percorsi quadriennali attivi legati a sperimentazioni ordinamentali.

Il tema rilevante è la rete e l’offerta informativa integrata. Il Piano Nazionale di sperimentazione nasce proprio al fine di verificare “l’efficacia della progettazione di un’offerta formativa integrata in cui venga favorito il raccordo tra i percorsi degli istituti tecnici e professionali, delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni […] e degli Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy), a livello nazionale e territoriale, e le istituzioni, i contesti produttivi, il mondo delle imprese, delle professioni e i diversi stakeholder”.

Infatti, affinché si possa parlare di offerta formativa integrata, devono essere presenti una serie di elementi: tra questi la progettazione di almeno un percorso quadriennale di istruzione tecnica o professionale, l’integrazione di un percorso per il conseguimento del diploma professionale di IeFP, un percorso biennale di ITS Academy (di area tecnologica coerente con l’indirizzo ordinamentale di riferimento) e l’attivazione di un partenariato con almeno un’impresa.

Al Piano Nazionale di sperimentazione della filiera tecnologico-professionale 4+2 hanno aderito, secondo il prospetto pubblicato dal ministero, oltre 170 scuole (secondo il più recente aggiornamento ufficiale, siamo a quota 176 al momento della pubblicazione di questo articolo). Gli istituti sono stati ammessi alla sperimentazione al termine dell’istruttoria condotta dalla commissione tecnica del ministero dell’Istruzione e del Merito sulle candidature pervenute. Per il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, “il percorso di 4 anni, sul modello di altri Paesi europei come Germania, Svezia, Svizzera e Austria, è stato pensato per garantire una solida preparazione nelle materie di base, andando a recuperare i gap registrati in italiano, matematica e inglese, e una maggiore preparazione in quelle specialistiche, utilizzando una grande flessibilità didattica”. Valditara ha anche chiarito che “ci saranno programmi nuovi, non una compressione di quelli pensati per il quinquennio, e che “l’organico dei docenti dei 5 anni sarà impegnato sull’offerta formativa dei 4 anni senza nessuna riduzione”.

TuttoITS, per approfondire le questioni più rilevanti connesse al varo della sperimentazione, ha intervistato il presidente di Rete ITS Italia, il raggruppamento italiano delle Fondazioni ITS, Guido Torrielli.

Presidente Torrielli, come giudica i numeri degli istituti aderenti? C’era margine per fare di più? C’è stato qualcuno che non ci ha creduto, e perché?

Penso sia un numero positivo per quelli che erano i tempi previsti. Per quanto riguarda l’attività dei sindacati, sono spinti da ideali che possono essere più o meno condivisibili: se mi metto nei loro panni, faccio forza sul fatto che è possibile che un percorso di quattro anni possa ridurre il personale. La forza del sindacato ha fatto sì che i Collegi docenti abbiano bocciato questa proposta di sperimentazione. Le scuole, e quindi i dirigenti scolastici, che hanno portato al Collegio docente il progetto da approvare sono veramente molte, ma molte di più. Ma non è una decisione che spetta al dirigente scolastico, bensì al Collegio docenti. Probabilmente c’è anche il timore del dovere in qualche modo correre verso un programma che va rivisto e che non si può trasformare in poco tempo.

Sono in corso le iscrizioni. Prevarrà, in merito a questa sperimentazione, più l’entusiasmo o la paura da parte di studenti e famiglie?

Anche in questo caso i tempi sono limitati. Si tratta di quattro anni di preparazione che consentono allo studente di entrare nel mondo del lavoro, dell’università o degli ITS. Questo è il primo punto: alla fine dei quattro anni non necessariamente si entra in un ITS. Questo è un aspetto fondamentale che va diffuso. Si tratta di un quadriennio al termine del quale il ragazzo può fare le scelte che oggi fa regolarmente uscendo dall’istituto tecnico dopo cinque anni. Il messaggio che posso dare è che nella rete ci sono le scuole, le imprese, gli ITS che collaborano alla preparazione del percorso formativo, apportando esigenze vere o partecipando a progetti veri e propri. Si tratta di avere studenti pronti a entrare in un percorso di formazione tecnologico superiore che li forgia nella completezza delle esigenze delle imprese che partecipano alle Fondazioni.

Come ha sottolineato, non è obbligatorio – dopo il diploma quadriennale – proseguire con la formazione dell’ITS. Lo studente può iscriversi all’università o andare a lavorare. Non c’è il rischio che si tratti poi di un’occasione persa per il mondo ITS al fine di aumentare i suoi numeri?

Direi il contrario. Se esplodesse questo fenomeno, non so quale possa essere il numero reale riconducibile alle scuole che aderiscono a questo tipo di percorso. Noi avremo potenzialmente al 2027 dai 30mila ai 40mila iscritti. Se aumentassero, allo stesso tempo non avremmo le aule. Ma oltre a questo, c’è un altro tema, un fattore fondamentale: gli ITS hanno sempre più importanza dal punto di vista dell’accreditamento, del monitoraggio. Non sono istituti nei quali confluisce chi non sa cosa fare. Stanno diventando fortemente istituti di qualità e questo fa sì che le selezioni che saranno fatte prevederanno la possibilità di escludere anche i ragazzi che arrivano da questo mondo (della sperimentazione, ndr). Non avremmo l’obbligo di di inserire indipendentemente dalle selezioni, i diplomati dovranno dimostrare alcune caratteristiche per poter accedere a un mondo che richiede determinati requisiti.

I licei non sono coinvolti in questa sperimentazione. Per alcuni il sistema scolastico italiano viene spinto verso una liceizzazione ancora maggiore e cresce il gap tra licei e istituti tecnici e professionali: lei come la pensa?

Ritengo esattamente il contrario, il fatto che i licei non ci siano è un fattore esclusivamente di necessità. Se fosse stata proposta la sperimentazione ai licei, probabilmente sarebbero arrivati e – quelli che hanno già il quadriennale – avrebbero potuto scegliere anche di partecipare a questa sperimentazione che prevede l’introduzione di queste reti. In definitiva, è la rete che introduce questo sistema di sperimentazione. Oggi il liceo fa il quadriennale, però mantenendo al proprio interno tutta una serie di autonomie. Nel momento in cui si introducono le reti, con l’ingresso degli ITS, delle imprese e così via, entrano in gioco soggetti terzi. Qualcuno potrebbe anche identificare questo come pericoloso dal punto di vista dell’autonomia. Ricordo, avendo fatto parte di Confindustria, quando ci accusavano di voler diventare padroni del mondo della scuola, noi che avevamo già problemi a essere padroni del mondo del lavoro. Credo che un’eventuale possibilità di estensione della sperimentazione 4+2 ai licei ci sarà. Se si vuole riorganizzare, ecco, poi bisogna decidere. In Europa ci sono già Paesi che hanno ridotto il numero di anni nel periodo della scolarizzazione secondaria superiore. Bisogna vedere se effettivamente questo percorso sarà adottato da noi, un disegno di legge che passa poi dal Parlamento.

Il sistema produttivo italiano ricaverà benefici da questi nuovi approcci del sistema scolastico e formativo? Alla lunga vedremo i risultati? E in quale prospettiva?

Credo che Confindustria, quella che oggi sta portando avanti questo discorso, abbia dimostrato il grande interesse che l’industria italiana ha per questo tipo di innovazione, di sperimentazione, e sono sicuro che manterrà questa posizione, senza voler entrare nella gestione del percorsi formativi, ma potendo fornire un utile sostegno di informazione sulle esigenze specifiche. Questa è la filiera: fare arrivare al quarto anno i ragazzi con delle competenze di base non finite, ma che siano tali da poter passare al successivo percorso senza dover sempre allineare. Abbiamo delle grosse difficoltà, quando dobbiamo costruire un’aula, ad avere un’omogeneità di preparazione, si perde moltissimo tempo a portare i ragazzi su livelli omogenei. O abbiamo abbiamo un livello tecnologico molto spinto, ma mancanza di cultura di base, o abbiamo una forte presenza di cultura di base, ma un’assenza di competenza tecnologica.

Il mondo del lavoro ha bisogno di due di due cose. Prima di tutto di poter inserire un ragazzo velocemente, fargli conoscere l’ambiente. Nel percorso ITS hanno un anno per cominciare a maturare questa conoscenza (le due fasi di pratica in azienda del biennio complessivo, ndr). La seconda cosa è avere la possibilità di rendere flessibile la conoscenza nell’ambito della preparazione. Resto sconvolto quando sento parlare alcuni grossi gruppi dell’informatica che affermano di cambiare percorso formativo dei loro lavoratori, all’interno, ogni sei mesi. Quando cambiamo un device ci vuole tempo ma abbiamo già una cultura di base per apprendere certe cose, no? La stessa cosa deve venire nel mondo della formazione. Oggi molte grandi imprese, attraverso le loro Academy, prendano i ragazzi dal mondo della scuola, li inseriscono immediatamente dentro e li formano. Ma siccome il tessuto italiano è fatto di piccole imprese che non hanno Academy, noi ITS siamo le Academy di queste piccole e medie imprese. Inseriamo nel mondo delle imprese ragazzi che entrano in aziende dove ci sono lavoratori che non hanno le loro stesse competenze, perché non si sono ancora riconvertiti alle esigenze richieste.

Alcune regioni hanno risposto più positivamente di altre alla sperimentazione. Tra quelle meno interessate, la Liguria. Questa dinamica fa sì che alcuni ITS resteranno isolati rispetto a queste sinergie?

Tra le regioni che hanno aderito di più ci sono la Puglia con 25, la Campania con 20 e l’Emilia Romagna con 11 (ma capofila è la Lombardia con 27, seguita dalla già citata Puglia e dalla Calabria con 24, ndr). E questo la dice lunga. È un fatto stranissimo e non c’entra niente la politica. Sono cose che vanno lette in maniera differenziata. La Liguria, per esempio, ha molte aziende grandi o con ex partecipazioni statali, quindi con grosse Academy. Il rapporto tra il mondo della scuola e il mondo degli ITS in Liguria è un rapporto diretto, pensiamo al nautico e all’Accademia della Marina mercantile. Il rapporto è già diretto, cioè esistono già delle filiere. In sostanza, per potere dare una risposta certa ci sono troppe variabili in campo, come visto: dal ruolo delle imprese, delle regioni, delle scuole e dei nostri ITS.

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